I congiurati che nella seduta senatoriale delle Idi di marzo si resero materialmente colpevoli del cesaricidio furono non più di una ventina tra pretori e senatori, mentre aderenti e fiancheggiatori raggiunsero un numero tra la sessantina e l'ottantina.
Questi oppositori erano divisi in due schiere: i repubblicani, quasi tutti già graziati in passato da Cesare, contrari ad ogni forma di potere personale, e i cesariani, collaboratori di Cesare che agirono a causa di rancori personali in seguito a mancati riconoscimenti.
I cesaricidi, che si erano definiti come liberatores, furono tutti condannati all'esilio dopo l'approvazione della lex Pedia e morirono uno dopo l'altro, fino al 42 a.C., quando Bruto e Cassio furono sconfitti da Antonio e Ottaviano nella battaglia di Filippi.
Sul corpo di Cesare fu eseguito un esame autoptico dal medico Antistione: da tale esame risultò che, su 18 ferite, solo la seconda era da considerarsi mortale.
Svetonio, nelle Vite dei Cesari, racconta che dopo il delitto "si decise di murare la Curia in cui fu ucciso, di chiamare Parricidio le Idi di marzo e che mai in quel giorno il Senato tenesse seduta".
Il monologo di Marco Antonio tratto dal Giulio Cesare di William Shakespeare, recitato da Vittorio Gassman
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